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Fra il primo e il quarto trimestre del 2021 l’occupazione femminile è effettivamente cresciuta del 3,7%. A misurare questa crescita confortante, considerando soprattutto le difficoltà che le donne hanno affrontato nel periodo della pandemia, è stato il Labour Issue, l’Osservatorio sul mercato del lavoro che Cida (Confederazione italiana dirigenti pubblici e privati) ha realizzato in collaborazione con Adapt (www.cida.it).
Di tutti gli esiti della pandemia questo è forse il più inaspettato, ma non per questo meno significativo. Con la ripresa delle attività in presenza, il ritorno in ufficio e la ricomparsa di meeting e conferenze, si è osservato un deciso allentamento del dress code: tailleur e completi formali lasciano progressivamente il posto ad abiti morbidi per le donne e a polo e pantaloni informali per gli uomini.
II Ceo di Goldman Sachs David Solomon lo ha affermato chiaramente: dopo aver definito nel 2021 lo smart working una modalità di lavoro “aberrante”, che la banca avrebbe corretto il più presto possibile, ora ha agito coerentemente alla sua affermazione, richiamando in ufficio 5 giorni alla settimana tutti i suoi dipendenti. Una posizione decisamente controcorrente, che non è stata seguita neppure dalle altre principali banche d’affari, che invece hanno recentemente annunciato di aver intenzione di proseguire a tempo indefinito con il lavoro ibrido.
Il neologismo è di un certo effetto: definire Remotopia l’universo che ruota attorno al lavoro fuori dall’ufficio dà maggiormente conto di questa nuova e inaspettata dimensione, dei suoi vantaggi e dei suoi limiti, del suo impatto psico-sociale sulla vita delle persone e di quello organizzativo e di costi che coinvolge le aziende. Forse per questo il World Economic Forum ha scelto di inserire la Remotopia nei 4 top trend che determineranno il futuro del lavoro da qui al 2030.
È un altro dei neologismi creati nell’epoca Covid, nato dall’unione di "work" e "vacation", lavoro e vacanza. A evidenziare che è un fenomeno destinato a durare c’è anche il fatto che il termine sia già stato inserito nel Devoto-Oli, uno fra i più autorevoli dizionari della lingua italiana. La workation è, insomma, una tendenza che sta prendendo sempre più piede e che prevede che si sfrutti la possibilità di lavorare da remoto per spostarsi per lunghi periodi in località con un clima o servizi migliori.
È ancora presto per dire come, ma sappiamo già con certezza che la radicale trasformazione dei modelli di lavoro seguita alla pandemia avrà un impatto sul volto delle città. Lo notano già le attività commerciali che basavano la maggior parte degli incassi sulla pausa pranzo, ma anche tutti i servizi posizionati vicino alle sedi di grandi uffici.
Negoziare un aumento di stipendio al momento di un colloquio di assunzione? Sicuramente non è un’abitudine consolidata in Italia, dove è ancora considerato un valore rimanere fedeli al primo datore di lavoro e le opportunità di cambiamento non sono così frequenti. Ma in un momento in cui aumenta il numero di posizioni aperte che le aziende non riescono a coprire, imparare a negoziare può davvero fare la differenza.
Computer aziendali, mail utilizzate per comunicazioni anche non esclusivamente lavorative, attività sui social che possono entrare in contrasto con gli interessi o la reputazione dell’azienda per cui si lavora. L’avvento dei social network ha indubbiamente aperto una nuova frontiera per quello che riguarda il comportamento dei lavoratori.
La domanda se l’è posta il New York Times, che al tema ha dedicato un lungo e approfondito articolo. Lo spunto è stata l’esperienza, oggi sempre più comune, di un giovane neolaureato che ha trascorso un intero periodo di stage in una banca lavorando esclusivamente da remoto, quindi senza interazioni con colleghi e superiori, senza la possibilità della chiacchiera nel corridoio o in pausa pranzo, senza poter osservare come si svolge il lavoro e “imparare con gli occhi”, ma, soprattutto, senza poter mostrare dal vivo le proprie competenze e abilità.
Fra i molti problemi che la pandemia ha portato alla luce, il diritto alla disconnessione è fra quelli che impattano maggiormente sulla vita dei lavoratori, ma che non ha ancora trovato una definizione normativa precisa. Se c’è accordo sulla sua definizione (una forma di tutela che consente al lavoratore di non dover essere sempre reperibile al di fuori dell’orario di lavoro, senza per questo avere conseguenze economiche o disciplinari), ancora non è stata trovata una forma di regolamentazione, che in Italia la legge sul Lavoro Agile del 2017 demanda a un accordo fra le parti per “definire tempi di riposo, nonché misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche”.
Succede sempre più spesso che, a un certo punto della propria carriera, ci sia un buco, un periodo di stacco, un’interruzione del percorso professionale. Accade con più frequenza alle donne, soprattutto dopo la maternità: secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, nel 2020 ci sono state 42mila dimissioni consensuali di genitori di bambini da 0 a 3 anni, e il 77% di questi erano donne. Ma non è più così inusuale che ci si prenda un periodo sabbatico, o, al contrario, che si debba lasciare il lavoro per prendersi cura di un familiare, o anche che si lasci il vecchio lavoro in cerca di qualcosa di più soddisfacente.
In una serie tv americana, molto conosciuta anche in Italia, un brillante psicologo costruisce la propria carriera sulla capacità di utilizzare la comunicazione verbale e paraverbale per influenzare le giurie e ottenere verdetti di innocenza. Senza arrivare a questi livelli, la capacità di parlare in pubblico è una competenza sempre più importante nella costruzione della carriera, soprattutto da quando gran parte delle interazioni si è spostata online.