YouAreHere
È un altro dei neologismi creati nell’epoca Covid, nato dall’unione di "work" e "vacation", lavoro e vacanza. A evidenziare che è un fenomeno destinato a durare c’è anche il fatto che il termine sia già stato inserito nel Devoto-Oli, uno fra i più autorevoli dizionari della lingua italiana. La workation è, insomma, una tendenza che sta prendendo sempre più piede e che prevede che si sfrutti la possibilità di lavorare da remoto per spostarsi per lunghi periodi in località con un clima o servizi migliori.
È ancora presto per dire come, ma sappiamo già con certezza che la radicale trasformazione dei modelli di lavoro seguita alla pandemia avrà un impatto sul volto delle città. Lo notano già le attività commerciali che basavano la maggior parte degli incassi sulla pausa pranzo, ma anche tutti i servizi posizionati vicino alle sedi di grandi uffici.
Negoziare un aumento di stipendio al momento di un colloquio di assunzione? Sicuramente non è un’abitudine consolidata in Italia, dove è ancora considerato un valore rimanere fedeli al primo datore di lavoro e le opportunità di cambiamento non sono così frequenti. Ma in un momento in cui aumenta il numero di posizioni aperte che le aziende non riescono a coprire, imparare a negoziare può davvero fare la differenza.
Computer aziendali, mail utilizzate per comunicazioni anche non esclusivamente lavorative, attività sui social che possono entrare in contrasto con gli interessi o la reputazione dell’azienda per cui si lavora. L’avvento dei social network ha indubbiamente aperto una nuova frontiera per quello che riguarda il comportamento dei lavoratori.
La domanda se l’è posta il New York Times, che al tema ha dedicato un lungo e approfondito articolo. Lo spunto è stata l’esperienza, oggi sempre più comune, di un giovane neolaureato che ha trascorso un intero periodo di stage in una banca lavorando esclusivamente da remoto, quindi senza interazioni con colleghi e superiori, senza la possibilità della chiacchiera nel corridoio o in pausa pranzo, senza poter osservare come si svolge il lavoro e “imparare con gli occhi”, ma, soprattutto, senza poter mostrare dal vivo le proprie competenze e abilità.
Fra i molti problemi che la pandemia ha portato alla luce, il diritto alla disconnessione è fra quelli che impattano maggiormente sulla vita dei lavoratori, ma che non ha ancora trovato una definizione normativa precisa. Se c’è accordo sulla sua definizione (una forma di tutela che consente al lavoratore di non dover essere sempre reperibile al di fuori dell’orario di lavoro, senza per questo avere conseguenze economiche o disciplinari), ancora non è stata trovata una forma di regolamentazione, che in Italia la legge sul Lavoro Agile del 2017 demanda a un accordo fra le parti per “definire tempi di riposo, nonché misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche”.
Succede sempre più spesso che, a un certo punto della propria carriera, ci sia un buco, un periodo di stacco, un’interruzione del percorso professionale. Accade con più frequenza alle donne, soprattutto dopo la maternità: secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, nel 2020 ci sono state 42mila dimissioni consensuali di genitori di bambini da 0 a 3 anni, e il 77% di questi erano donne. Ma non è più così inusuale che ci si prenda un periodo sabbatico, o, al contrario, che si debba lasciare il lavoro per prendersi cura di un familiare, o anche che si lasci il vecchio lavoro in cerca di qualcosa di più soddisfacente.
In una serie tv americana, molto conosciuta anche in Italia, un brillante psicologo costruisce la propria carriera sulla capacità di utilizzare la comunicazione verbale e paraverbale per influenzare le giurie e ottenere verdetti di innocenza. Senza arrivare a questi livelli, la capacità di parlare in pubblico è una competenza sempre più importante nella costruzione della carriera, soprattutto da quando gran parte delle interazioni si è spostata online.
250 candidature per ogni offerta di lavoro aperta: un numero in netto aumento, se si considera che, solo nel 2010, se ne registravano in media 120. Un dato che si traduce inevitabilmente in costi e in tempi di reclutamento piuttosto lunghi, quando invece, spesso, la tempestività nel coprire una posizione risulta essenziale per il business. Proprio per cercare di velocizzare i tempi di selezione è sempre più frequente l’impiego della tecnologia da parte delle aziende, in particolare di software progettati per evidenziare, fra i molti CV inviati, quelli maggiormente in linea con le competenze richieste.
Se ancora non ci sono certezze sulla road map che dovrebbe portare alla fine delle restrizioni imposte dal Covid, un punto fermo è stato fissato: il prossimo 31 marzo scade, e non sarà prorogato, lo stato di emergenza che ci accompagna dal marzo del 2020. Una decisione che avrà un impatto sostanziale sul mondo del lavoro: infatti, con la chiusura dello stato d’emergenza, viene meno anche la possibilità per le aziende di attivare il cosiddetto lavoro agile emergenziale, che nella prima fase del lockdown ha consentito a quasi 6 milioni di persone di lavorare da casa.
Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco Italia, si è misurato con un compito a dir poco impegnativo: immaginare il lavoro di domani, quello che coinvolgerà le giovani generazioni, che sarà il risultato dell’innovazione tecnologica e della transizione ecologica. Lo ha fatto con un libro intitolato, appunto, "Immaginare il lavoro. Il mondo di ieri, le sfide di domani" (Marsilio editore, https://adeccogroup.it/immaginare-il-lavoro-libro/), che è stato presentato a Milano nei giorni scorsi.
Sette ore al giorno connessi alla rete, principalmente attraverso lo smartphone: considerando una media di 7/8 ore di sonno, il tempo passato sui device è il 42% di quello disponibile. Proprio perché il fenomeno è così diffuso e pervasivo, da qualche anno il 22 febbraio si celebra la Giornata della disconnessione, un’occasione per riflettere su questa nuova abitudine che incide pesantemente sia sulla vita personale che su quella professionale.